Perché tutto questo?

E' ora che lasci qualche memoria digitale di alcuni pensieri che mi accompagnano da tempo. Devo farlo altrimenti potrebbero essere sepolti da altra roba. La mia mente ha smesso di accumulare informazioni.
E' iniziato allora il processo di sostituzione dei contenuti della mia memoria invece del suo ingrandimento. Insomma invecchio. Lascerò qui traccia digitale dello scorrere del tempo e dei pensieri.

2012-05-06

La "lingua madre", ok, ma chi è il padre?

Mio figlio sta crescendo e giorno dopo giorno impara sempre di più parole nuove.
Mi sorprendo nel constatare che, partendo dalle conoscenze di base e dall'ascolto dei grandi, riesca a rielaborare in forme nuove ciò che ascolta.
Nel suo processo di assimilazione, imitazione e creazione del linguaggio noto le tracce degli schemi mentali in costruzione che via via si vanno affinando.
Ieri mi ha sorpreso applicando forme condizionali a verbi "strani".
Ciò che mi ha colpito è che lui ha ragione nell'applicare la regola generale ai verbi diversi da quelli che ascolta. 
Voglio dire che è logico e giusto dire "esseravo" invece di "ero".
Purtroppo o per fortuna l'italiano è quello che è. La fiera dei verbi irregolari. Il tripudio delle eccezioni.
Michele ogni giorno affronta questa sfida con slancio creativo e prova a saltarci fuori.
Da questi suoi "errori" (che errori logici non sono di sicuro) mi è venuto un pensiero che riguarda i nostri schemi e processi mentali e quanto questi siano derivati dalla lingua che parliamo.
Facciamo proprio l'esempio di "io esseravo". Il comportamento semantico "tipico" del passato prossimo, ossia l'applicazione dopo la radice del verbo del suffisso "avo-evo-ivo", non può essere sempre esteso a tutti i verbi.
Ora vi racconto questo aneddoto al riguardo.
Michele (mio figlio) stava giocando tutto concentrato e io gli chiedevo di raccontarmi la sua giornata all'asilo. Mentre mi racconta i giochi che ha fatto mi dice che "io eravo stato buono"
tutto il tempo.
Mi metto nei panni di mio figlio. Deve aver fatto questo ragionamento: se devo parlare di una cosa del passato allora devo usare uno dei tre suffissi del passato (avo evo ivo). Posso scegliere quale dei tre usare se il verbo che uso (la radice) è in are ere o ire. Quindi se devo dire "essere" al passato dovrei dire "esseravo"! Ma non lo sento mai dire! E allora? come si dice? Non posso aspettare troppo, le parole servono per comunicare non per essere precisi. Tanto papà non si arrabbia se sbaglio e mi aiuta e mi corregge. I grandi non dicono "esseravo". Come dicono i grandi? Era una roba del tipo: "eravo" si "eravo"!
Dopo questo ragionamento, che nella sua mente dura meno di un secondo, lui sceglie di dire "eravo" invece di "ero".
E qui arriva il papà che gli ricorda: "Michele, non si dice 'io eravo', si dice io ero". 
Al che Michele mi guarda e sorride per vedere se lo sto prendendo in giro ma ho la faccia seria e lui diventa serio e dopo 2 secondi abbassa lo sguardo e si rimette a giocare con  noncuranza. 
Dopo un altro paio di secondi mi fa moooolto serio (ma senza guardarmi in faccia): "papà, perché si dice "io ero" e non io "eravo"? 
Dovete immaginarvi un bambino che vi chiede ciò scandendo lentamente e molto bene le parole della domanda.
Quando Michele fa così capisco che per lui è importante e allora ci metto tutta l'attenzione che posso nel rispondere. In genere Michele dopo la spiegazione, più o meno calzante ed esaustiva in base alle circostanze e agli esempi presi dal suo mondo di bambino, mi risponde quasi sempre con un "ah, ok" che definirei il "trionfo dell'indifferenza".
Allora gli rispondo "si dice così Michele perché "ero", "essere" è un verbo, una parola, tutta strana!". Non ho saputo fare di meglio che rispondere così a questa domanda legittima e acuta. Ma almeno gli ho chiarito che "verbo" è un altro modo di dire "parola".
E cosa può concludere Michele da questa esperienza ? 
Michele ha 3 anni, ha provato ad applicare la logica ma la sua lingua madre è piena di cose illogiche, di eccezioni, di aberrazioni, contrazioni, troncamenti, elisioni e chi più ne ha più ne metta.
La sua conclusione sarà: ci sono delle regole, ma le regole non sono valide sempre. Ci sono circostanze che non seguono una logica lineare e definita. 
Non si può essere sicuri di stare nel giusto (di stare parlando correttamente) fino a che non si riceve l'approvazione di mamma o papà o di "uno grande".
Capite cosa intendo? 
Se un bimbo tedesco impara la lingua tedesca, e nella lingua tedesca vi sono solo verbi regolari (mi sembra che gli unici 2 irregolari siano "essere" e "avere") il bimbo tedesco nascendo e imparando la sua lingua sarà portato sistematicamente ad aver fiducia nella logica e ad applicarla sempre e in tutte le "circostanze linguistiche". E la cosa funzionerà sempre e lui guadagnerà in sicurezza nel parlare e quindi anche nell'esprimersi.
Il bimbo italiano è invece un povero viandante nel reame del linguaggio e peregrina tra centinaia, forse migliaia di verbi e parole irregolari. 
L'italiano crescerà con una sfiducia di base nelle regole e nella logica linguistica, facendo affidamento alle relazioni umane e alle consuetudini del parlato.
Il tedesco procederà come un panzer sopra ogni ostacolo non appena avrà sviscerato con facilità le poche caratteristiche anomale dei suoi 2 verbi ausiliari. Potrà poi procedere dritto e sicuro con ogni nuovo verbo che imparerà da lì all'eternità senza tema di incappare in errori di "ortofonia e ortografia".
E quindi? Concludendo?
Questo processo di assimilazione linguistica della lingua madre influisce non solo sulla parte del cervello deputata al linguaggio ma anche in tutte le altre aree del pensiero.
Qualcuno mi ha detto (mia cognata): Se parli male, pensi male! E vivi male! (citava Moretti mi pare).
Questo non vuol dire che una lingua impone schemi mentali come assoluti dominatori ma di sicuro privilegia alcuni orientamenti rispetto ad altri.
Nascere in Italia porta a modificare la nostra mente e a plasmarla secondo schemi che ci portano ad essere "aggiratori" delle regole e ad averne una ancestrale diffidenza.
Come dei San Tommaso, quando dobbiamo esprimerci usando verbi in forme non usuali o vogliamo usare vocaboli nuovi, se non "tocchiamo" non crediamo e il toccare corrisponde a sentire la cosa nel parlato da parte di qualcuno che riteniamo autorevole nel contesto linguistico in cui dobbiamo esprimerci.
Ma visto che di errori ne fanno tutti possiamo tranquillamente italianizzare le parole dialettali e darci un tono più forbito. 
Basta semplicemente fare gli errori che tutti fanno per passare inosservati.
Insomma, le regole ci sono, non è che l'italiano sia una giungla semantica, ma le regole sono di difficile reperibilità (la Crusca è roba per pochi come lo è la lingua italiana che è parlata e scritta correttamente solo da pochissime persone in Italia).
Il mio Michele crescerà come tutti noi italiani con un bagaglio enorme di eccezioni linguistiche e anomalie lessicali che lo porteranno in tutte le situazioni "rigide" della vita a nutrire un barlume di speranza che le cose non siano già scritte e fatte. 
Il che tutto sommato non è una cosa brutta, come non lo è avere una mente catalogatrice e ordinata come quella dei tedeschi.
Detto questo, Michele imparerà quante più lingue possibili, come il papà. 
Spero di essere riuscito a descrivere un pezzettino del perché è tanto importante che tutti imparino più lingue, a qualunque età si inizi a farlo.

2 commenti:

  1. bellissimo articolo Andrea. trovo giustissime le tue considerazioni e anche le conclusioni. ti dico che anch'io mi son posto le tue domande in passato, ma la risposta che mi son dato è che la lingua italiana produce eccezioni per non cadere in cacofonie o comunque per non perdere musicalità. di conseguenza son giunto alla conclusione che il bimbo impara che la logica è meno importante della musica. cosa che a me, personalmente, riempie di gioia. proprio per questo l'alfabeto nei nostri ricordi si leggeva così (a bi ci di e effe gi...). dico si leggeva perchè ora negli asili e nelle scuole primarie lo insegnano miseramente così (a b c d e f...). quando l'ho scoperto ho intuito che il sistema volesse uccidere la "musuca"! e la stessa cosa, non a caso, la stanno facendo con la musica trasformando il favoloso settebello musicale (do re mi fa sol la si) in un tristissimo (c d e f g a b)... su questa cosa avevo intenzione di scrivere, e probabilmente lo farò. ma son contento di aver dato un contrubuto alle tue mirabili riflessioni. Mariano

    RispondiElimina
  2. Ciò che dici è bellissimo. La musica che vince la logica è proprio un concetto che sposo in pieno.
    I tedeschi sono logici e noi musicali. Loro tecnici e noi artistici (passami la semplificazione).
    Rinforzi il tema del post in un modo sorprendente.
    Una amenità: mia cognata, che parla benissimo il tedesco e mi ha detto che il tedesco è molto musicale come lingua.
    Ti giro questa asserzione provocazione che mi lascia scettico ma anche curioso.
    Che i suoni astrusi e cacofonici a cui noi associamo il tedesco sia solo un errato convincimento? Forse per i tedeschi la loro lingua ha un bel suono. Ciò che per noi è aspro e secco dipende dalla nostra scarsa conoscenza e da condizionamenti culturali?

    RispondiElimina

Grazie da parte mia e di tutti i visitatori per voler condividere il tuo pensiero.