Non ho scoperto nulla di trascendentale. Fior di psicologi e neurologi si sono applicati a questo enigma e la spiegazione che qui ho dato somiglia in qualche modo alle loro teorie (il che è preoccupante per il loro equilibrio mentale).
Questo post potrebbe quindi risultare per alcuni un déjà-vu di un déjà-vu. Eppure io ho attinto solo ed esclusivamente ai miei pensieri. Se avete capito un po' come sono fatto saprete che amo sbagliare con la mia testa, rifiuto l'autorità in ogni sua forma e, se possibile, vorrei esplorare gli argomenti ragionando insieme.
D'altronde queste sono tutte memorie originali e pertanto sono di esclusiva creazione del sottoscritto. Non rischio accuse di plagio (se capitasse sarebbe plagio involontario per rielaborazione inconscia di letture o discussioni fatte in tempi remoti).
E' inquietante come possiamo ingannare noi stessi quando crediamo di stare creando qualcosa. A me capitava spesso strimpellando con la chitarra. Mi mettevo lì e creavo un riff o un giro di accordi strani, arpeggi che cercavo di rendere melodiosi e innovativi.
Puntualmente mi ritrovavo a verificare con stupore che quello che stavo creando era niente altro che l'esecuzione di qualche motivetto che inconsciamente suonavo credendo di essere creativo.
Vi rimando pertanto a(nche a) wikipedia, ma se non avete ancora letto nulla, ecco cosa ne penso.
Un déjà-vu credo che l abbiano provato tutti nella vita prima o poi. Lascia interdetti e stupefatti, come se si fosse appena vissuta un'esperienza trascendentale.
“Questa scena l’ho già vissuta” è qualcosa di
inquietante. Rompe il tranquillo legame causa-effetto a cui siamo abituati e la
realtà sembra spappolarsi sotto i nostri occhi.
La cosa è terrificante ma intrigante,
inquietante ma curiosa.
Definisco il déjà-vu come una fase di stupore e
di attesa degli eventi con la consapevolezza del loro prossimo avvenire.Non è così facilmente riducibile a una banale sensazione di familiarità con una scena, un posto o una situazione.
Quello che proviamo è una concordanza perfetta tra ricordo e situazione attuale. Una coincidenza terrificante per le nostre strutture razionali che sono tranquillamente
immerse nello spazio-tempo e li reputano immutabili e imperituri. Tralascio ogni spiegazione fantasiosa o comunque pesante in termini probabilistici quali possono essere le esperienze extracorporee, dilatazioni spazio temporali, universi paralleli e le spiegazioni alla gatto di matrix (per intenderci).
Quando si scomodano dio o gli alieni per spiegare un fatto si sta invocando una soluzione più problematica del problema stesso. Il che è sempre da evitare.
Le mie esperienze di déjà-vu (che saranno state una decina in 38 anni di vita) le ho collegate a volte a stati psicologici e fisici di generale stanchezza. Non è una regola assoluta, perché non ricordo se ogni volta che mi sia capitato ero prostrato o stanco. Tuttavia il primo barlume di spiegazione si è affacciato alla mia mente quando ho collegato il déjà-vu al concetto di disfunzione.
Cos'è che va in disfunzione e crea il déjà-vu?
Siamo semplicemente di fronte a una duplicazione degli stimoli visivi e sonori.
Non stiamo prevedendo il futuro.
Semplicemente stiamo rivivendo il presente che percepiamo.
È come se la nostra percezione cosciente perdesse colpi rispetto a quella inconscia.
Collego il déjà-vu a un errato sincronismo.
Provo a spiegare in dettaglio.
Siamo fatti di una parte emotiva e una
razionale. Che viaggiano all'unisono costantemente. Coi sensi recepiamo i dati
dall’esterno, arrivano al cervello, e tutti gli stimoli arrivati nell’istante "x" vengono accorpati per formare una esperienza X. La "maiuscolatura" della "x" in "X" vuol dire che l'immagine esperita (vissuta o assorbita) in quell'istante ha senso.
Questo “accorpamento” di dati grezzi
provenienti dalle varie aree sensibili è un processo che fa la nostra parte
razionale (forse c'è una specie di interfaccia, qualcosa che prima raccoglie i dati provenienti da tutti i sensi e ne crea un immagine generale, solo poi la passa alla parte razionale).
Dopo l’accorpamento la parte razionale fa un check o un confronto con la memoria
immediatamente precedente (memoria a breve termine).
Se qualcosa stona tra le 2 immagini il nostro
cervello vuole sapere perché (per tutelare se stesso e il corpo da eventuali
elementi lesivi in arrivo).
Se c’è discordanza tra le immagini gli elementi
mutanti attirano la nostra attenzione (se qualcosa si muove noi la notiamo).
In tutto questo meccanismo regna la fluidità
dell’esperienza. Le cose non succedono a scatti (natura non facit saltus).
L’esperienza è fluida, costante, e in tale modalità noi la facciamo fluire
dentro la nostra mente da migliaia di anni a questa parte.
DOMANDA: Cosa accadrebbe se la parte razionale
perdesse il passo rispetto gli stimoli recepiti dai sensi?
RISPOSTA: Gli stimoli grezzi, raggruppati in esperienze di vita vissuta e metabolizzati istantaneamente dalla parte razionale, se non metabolizzati dovrebbero finire nell’inconscio.
Se assisto a una scena cruenta (es. vedo un disastroso
incidente stradale in diretta con l’autista che viene proiettato fuori dall’abitacolo)
l’impatto di questa esperienza su di me è alto al punto che non riesco a
contenerla con la semplice razionalità.
Non riesco a incasellarla.
L’esperienza è troppo intensa e allora
interviene il meccanismo di salvaguardia, interviene l’inconscio a togliere “pressione”
al circuito della coscienza (emisfero destro -> emisfero sinistro) perché l’emisfero
destro pone troppi dati sconosciuti per il povero emisfero sinistro.
La realtà viene rigettata dalla parte razionale. Però è entrata tramite quella emotiva.
DOMANDA: Posso, figurativamente parlando, "vomitare" quell'esperienza?
RISPOSTA: No. Anche se possiamo somatizzare la cosa attraverso il vomito.
Purtroppo la negazione di un'esperienza sgradevole, vissuta dal soggetto nel segno del rifiuto, è un espediente che crea rabbia e oblio, ma la rabbia svanirà e il ricordo pure, e assieme ad esso buona parte della nostra mente coinvolta dall'evento sarà trascinata via. Un intero blocco emotivo e razionale verrà a perdersi.
Bambini abusati o vittime di stupro possono perdere completamente la parola o la capacità di provare emozioni. Non perdono per sempre quelle capacità. Ogni cosa finisce nell'inconscio.
Per tirarle fuori occorre una cosa fondamentale: LA FIDUCIA NEL FATTO CHE CHI CI ASCOLTA POSSA CAPIRCI.
Per tirarle fuori occorre una cosa fondamentale: LA FIDUCIA NEL FATTO CHE CHI CI ASCOLTA POSSA CAPIRCI.
L'accettazione delle esperienze dimenticate per il dolore che hanno creato è la soluzione al problema, ma a volte servono anni di analisi per rendersene conto.
Ad ogni modo, a distanza di qualche tempo lo shock passa e la
persona prende le distanze dall’evento. Lo vede come qualcosa che non può più
lederla immediatamente. Finita la paura e reso calmo l’ambiente circostante, ora
è come se lo stomaco dovesse digerire un pranzo troppo corposo. La digestione
può essere facilitata dalla parola.
Esponendo ad altri (o a un diario) la mia
esperienza la razionalizzo, la “digerisco”, prelevando dettagli della scena e portandoli fuori (la parola corrisponderebbe allo “sterco” in questa metafora).
Mentre descrivo l’evento in realtà sto spurgando quell’esperienza sensoriale non metabolizzata e guarisco dallo shock o dal trauma.
Mentre descrivo l’evento in realtà sto spurgando quell’esperienza sensoriale non metabolizzata e guarisco dallo shock o dal trauma.
La psicologia niente altro è che l'aiuto alla digestione di esperienze vissute. Lo psicologo è un lassativo, porta il paziente a parlare e a portare alla luce ciò che è sepolto nelle oscurità della memoria non razionalizzata.
Questa parentesi “psicologica” mi serve per
chiarire che il déjà-vu si innesta in questo circuito.
letture amene |
L’esempio della pellicola può aiutare a capire questo delirio mentale. Se prendiamo una pellicola essa è composta di tanti fotogrammi succedentesi che sono praticamente quasi identici l uno all’altro. Se togliessimo uno dei fotogrammi e lo sostituissimo con un fotogramma vuoto il nostro occhio non si accorgerebbe dell’errore perché compenserà l esperienza legando le immagini (la precedente e la successiva al "buco").
Su questo principio si basa la cinematografia. Illusione per gli occhi della fluidità dell'esperienza visiva. Se però i fotogrammi si riducono parecchio l’occhio percepisce che ci sono scatti e scopre l’inganno. Non è realtà ma un pessimo filmato. Una successione di foto.
Ora mantenendo in mente questo esempio, traslando il discorso non all'occhio ma alla mente nel suo complesso, il
déjà-vu niente altro sarebbe che un "ritardo" della nostra parte razionale
rispetto a quella emotivo-sensibile, quella che ci manda i dati grezzi da
accorpare in una esperienza istantanea.
Per capirci: immaginate che lo spazio bianco tra 2 fotogrammi si allarghi fino ad occupare lo spazio di un fotogramma. Oppure che uno dei fotogrammi diventi bianco: Perdiamo colpi! |
La nostra parte conscia, non riuscendo a
metabolizzare l’esperienza vissuta, la vive come fotogrammi staccati l’uno
dall’altro. La nostra mente non può rimanere impappinata a lungo. Altrimenti
non riusciremmo più a stare neanche in piedi. Quindi semplicemente rinuncia a
formattare l’attimo vissuto.
Perde colpi. Perde un colpo.
Metabolizza il fotogramma seguente.
Poi la disfunzione si ripete.
Poi la disfunzione si ripete.
Il nostro cervello va in pratica a scatti, a corrente alternata.
La nostra mente "aggiusta" le cose per sua natura, arrotonda le forme, corregge gli
errori e le anomalie (vi sono parecchi esempi simpatici di come l’occhio possa
essere ingannato dalle forme), tende a eliminare i disturbi visivi e sonori
(possiamo parlare con qualcuno mentre siamo in un locale affollato), ignora gli
stimoli costanti e indistinti (ad esempio smette di comunicarci che abbiamo
l’anello al dito o i vestiti addosso) per far spazio a quelli mutevoli (quelli
interessanti).
Se questa capacità di aggiustare le cose fosse temporaneamente in “disfunzione” ecco che si pone la base del déjà-vu.
E' spaventosa la nostra ignoranza sui meccanismi con cui funziona il nostro cervello. Ma in generale la nostra ignoranza è spaventosa un po' su tutto (almeno la mia). |
Se va in tilt il nostro sistema di omogeneizzazione dell'esperienza la scena sarà interpretata dalla nostra mente come il rivivere la stessa
esperienza.
Perché tra l'ultima esperienza accumulata coscientemente e la penultima
si è frammisto un qualcosa di indistinto, un esperienza mal digerita. È qui che comincia il déjà-vu. La penultima esperienza coerente è già passata nella memoria a breve termine, mentre quella attuale non lo è ancora. Da qui la sensazione che la scena che stiamo vivendo appartenga al nostro passato, che sia stata da noi già vissuta in un altro tempo.
QUALE TEMPO?
NON NEL TEMPO ATTUALE, PERCHE' IL TEMPO PRESENTE IN CUI SIAMO ADESSO E' "SCOLLEGATO" DALL'ULTIMO ISTANTE CHE ABBIAMO METABOLIZZATO CORRETTAMENTE.
NOI POSSIAMO AVERE AMNESIE E NON RICORDARCI NULLA DI INTERI PERIODI DELLA NOSTRA VITA.
E IL PASSATO PROSSIMO E QUELLO REMOTO SONO GIUDICATI TALI DA CHI LI RIEVOCA IN BASE ALLA DISTANZA CHE UNO PONE TRA "L'ADESSO" E "IL PASSATO CHE STA PENSANDO".
Il déjà-vu niente altro sarebbe che uno scherzo
della memoria. Una discontinuità tra memoria e percezione del presente.
Una anomalia che comporta lo
sfaldamento del fluire dell'esperienza. Dopo pochi secondi il cervello torna a
funzionare normalmente. Si ristabilisce la fluidità dell'esperienza. Il presente e il passato immediatamente recente tornano a collegarsi.
Tutto torna normale. A noi resta la sensazione strana di qualcosa che non è funzionato come doveva.
Non è
funzionata, come sempre fa, la nostra parte razionale.
Ovviamente
quanto riportato è non solo grossolano, ma anche frutto di considerazioni che ignorano il funzionamento base
del cervello. È pertanto
possibile che la memoria a breve termine si formi in realtà dopo svariati
secondi dalle esperienze, rendendo la mia ipotesi completamente errata.
Obiezione legittima: se fosse vero, allora se apro e chiudo gli
occhi per una frazione di secondo (o se guardo un filmato in cui l’audio e il
video sono intervallati a tratti da immagini scure) dovrei avere lo stesso
effetto di déjà-vu?
Risposta: il cervello sta funzionando normalmente e il flusso dell’esperienza
è continuo. Percepiamo quelle discontinuità come discontinuità temporali
(visive e sonore) esterne e pertanto siamo “protetti” dall’attivazione del déjà-vu.
Quando il
nostro meccanismo di archiviazione dell’esperienza va in pappa è invece diverso.
Il problema non è “fuori”, nell’esperienza esterna. È dentro di noi nel
meccanismo interno di archiviazione e metabolizzazione dell’esperienza.
Il nostro
cervello in pratica distingue gli errori che si verificano in esterno mentre e
non è pronto a gestire le disfunzioni interne.
Quelle sono esperienze "nuove", ma guarda caso sono praticamente identiche a qualcosa che già abbiamo vissuto poco prima. (forse con l'età il cervello impara a distinguere queste anomalie? è per questo che i déjà-vu tendono a scomparire con l'età?).
Forse è da una cosa del genere che deriva il paradosso del déjà-vu: il
vivere quegli istanti di stupore come qualcosa di radicalmente diverso dalle
esperienze quotidianamente vissute e allo stesso tempo come qualcosa di familiare e di cui abbiamo memoria.
già, vivo i deja vù periodicamente, non capisco il perchè ma mi sono rassegnato alla cosa. Ah ho superato i 50 anni, mi dimentico i nomi qualche volta, ma continuo ad accumulare informazioni nel mio cervellotico database.
RispondiEliminaLi puoi associare a qualcosa?
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